Meschac Gaba

Perruques Milan a cura di Marco Scotini

A distanza di tre anni dalla sua ultima personale presso la galleria ARTRA intitolata Le pain migrateur, lunedì 10 marzo 2008 torna a esporre a Milano l’artista africano Meschac Gaba, assai noto anche grazie alla partecipazione a mostre quali Africa Remix, la Biennale di Venezia, Documenta e ad altri appuntamenti di grande rilievo nell’ambito dell’arte contemporanea. Creatore dell’itinerante Museum of Contemporary African Art avviato nel 1997 presso la Rijksakademie di Amsterdam e completato nel 2002 con la presentazione della dodicesima e ultima stanza, l’Humanist Space, a Documenta XI — Gaba, il cui lavoro attua una critica all’etnocentrismo, nella mostra presso la galleria ARTRA dal titolo PERRUQUES MILAN espone due installazioni, una delle quali concepita per l’occasione. In quest’ultima, la caratteristica acconciatura a treccine dà vita a una serie di parrucche che rispecchiano la forma di numerose architetture milanesi, trasformandosi in tal modo in elemento “globale” capace di trascendere le differenze culturali e di mettere in luce, e al contempo stravolgere in modo sottile, uno stereotipo di stampo estetico associato alle persone di colore. Con questo lavoro Gaba porta avanti il ciclo delle “Tresses”, in cui tale tipo di parrucca ha rivestito, ad esempio, l’aspetto di alcune costruzioni architettoniche assunte a simbolo della città di New York, come il World Financial Center, il Chrysler Building o l’Empire State Building.

La seconda installazione presente in galleria è invece composta dalle 18 bandiere che l’artista ha in precedenza esposto in occasione della presentazione, in varie sedi museali, delle stanze del suo Museum of Contemporary African Art. Quest’opera si rivela così una sorta di virtuale antologia del suo lavoro, rimarcando il carattere nomade della sua ricerca.

Grattacielo Piazza Diaz
Palazzo Milanese

San Carlo al Lazzaretto

Scala di Milano

Stadio San Siro

Torre Velasca

Le pain migrateur a cura di Marco Scotini

Dopo due anni dalla sua prima personale italiana, l’artista africano Meschac Gaba ritorna negli spazi della sede milanese della Galleria Artra con un nuovo progetto che aprirà al pubblico mercoledì 27 aprile. Le pain migrateur, titolo della nuova esposizione, è un lavoro appositamente concepito per l’occasione ma che sviluppa il progetto presentato nell’importante collettiva itinerante “Afrika Remix” già approdata al Kunst Palast di Dusseldorf, alla Hayward Gallery di Londra e che vede come prossime tappe il Centre George Pompidou di Parigi e il Mori Museum di Tokyo.

Originario del Benin (Cotonou 1961) e dal ’95 residente ad Amsterdam, dove attualmente vive e lavora, la figura di Meschac Gaba è internazionalmente nota per le partecipazioni alla Documenta XI, alla 50 ª edizione della Biennale di Venezia, per le sue personali nei maggiori musei del mondo e per l’imponente progetto del “Museum of Contemporary African Art” che lo ha visto impegnato per sei anni, dal 1997 al 2002.

Tra i maggiori rappresentanti del globalismo, della condizione del post colonialismo e della realtà diasporica contemporanea, Meschac Gaba opera – attraverso le pratiche artistiche che di volta in volta mette in atto – una radicale decostruzione del concetto di identità. Interessato ai processi di trasformazione culturale, l’intero progetto artistico di Gaba tende a smontare la costruzione ideologica dell’alterità e a minare ogni fondamento “essenzialista” e ogni stereotipo dell’identità storico-culturale. Come ha scritto Okwui Enwezor a proposito del “Museum of Contemporary African Art”: Anziché essere una critica istituzionale, va piuttosto considerato una riflessione sulla natura dell’appropriazione culturale, della legittimazione e della narrazione istituzionale e della mercificazione economica”.

Tutti il lavoro di Meschac Gaba si fonda sul concetto di fiction di matrice broodthaersiana, a partire da due precise modalità d’intervento: una che vede la decostruzione delle icone e degli stereotipi coloniali; l’altra che necessita del coinvolgimento e della partecipazione del pubblico. Così dopo aver concepito il Museo di Arte Contemporanea Africana in dodici ambienti nomadi e processuali come critica all’etnocentrismo, Gaba cerca ora di rintracciare le piste confuse, le rotte ibridate e meticce delle forme culturali ordinarie che si sono imposte nel tempo come pratiche di cultura urbana globale. Il ginger cocktail realizzato per la Biennale di Venezia 2003 e l’hairstyle rasta e a piccole trecce appena presentato in diciotto parrucche all’Harlem Museum di New York, ne sono un esempio.

In questa occasione la baguette è al centro dell’archeologia contemporanea di Gaba: un’archeologia dello sradicamento e dell’esodo. Vero e proprio pain migrateur la baguette francese si può trovare ora in ogni regione del mondo, non solo per processi di colonizzazione. Nel Benin per esempio è il pane più popolare e il cibo più comune dopo il mais, il riso e la patata. Non c’è bisogno di coltivare il grano (nel Benin non ci cresce!) per mangiare baguettes. Ma la baguette, declinata in differenti versioni e piegata a diversi usi, è ormai un genere a più colori della pelle, a cittadinanza globale. Altro che “pain peint” di surrealistica memoria!

Le pain migrateur

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